Swarovski e la sostenibilità, quando rispettare l’ambiente non è un lusso
Anche i brand del lusso e della gioielleria prestano attenzione alla sostenibilità. La conferma arriva da un gruppo da 3 miliardi e mezzo di euro come Swarovski, che ha impianti in 3 continenti ma, soprattutto, vanta punti vendita in ben 170 Paesi, per un totale di 3mila negozi. Gli investimenti compiuti dal marchio nella prospettiva della sostenibilità si fanno sempre più ingenti, soprattutto per ciò che concerne la divisione Cristalli. Ma sia chiaro: quando si parla di sostenibilità non si fa riferimento solo all'ecologia e al tentativo di contrastare il cambiamento climatico. La sostenibilità riguarda anche la lotta a un eccessivo consumo di risorse naturali, la sfida lanciata alle disparità di trattamento economico, la riduzione del gender gap e la correttezza della gestione delle risorse idriche.
Il valore delle materie prime
È sin dalle fasi iniziali della produzione che ci si deve preoccupare della sostenibilità. Il che vuol dire, tra l'altro, giungere a una tracciabilità completa delle materie prime. Questo è il motivo per il quale Swarovski ha deciso di verificare e di tenere sotto controllo le condizioni di lavoro in vigore negli Stati in cui è presente. Centinaia di audit forniscono risultati che, una volta valutati, consentono di capire se sia il caso o meno di mantenere una produzione attiva. Nel 2018, per esempio, la totalità dei topazi comprati arrivava da una cooperativa in Brasile e da comunità minerarie dello Sri Lanka. In più, qualche mese fa ha esordito la linea di gioielli Atelier Swarovski con la prima collezione basata su gemme e diamanti di laboratorio e oro Fairtrade.
I numeri di Swarovski
Il report che è stato pubblicato da Swarovski mette in evidenza che tra il 2017 e il 2018 il marchio ha ricavato energia per la produzione per il 35 per cento da fonti rinnovabili. Inoltre, è stato rimesso in circolo il 76 per cento dell'acqua che è stata utilizzata negli impianti. Ma non è ancora tutto, perché merita una menzione speciale la collezione di gioielli Swarovski in oro certificato Fairmined, la prima del brand. In più, hanno superato la quota dei 6 milioni di unità i cristalli che sono stati re-impiegati nelle scuole di design nel contesto del progetto denominato Conscious Design.
La questione dell'acqua
Per il processo di produzione di Swarovski un elemento indispensabile è l'acqua. Anche su questo fronte il gruppo non è rimasto con le mani in mano, e anzi ha dato il la a programmi pilota negli Stati Uniti, a Plattsburgh, e in Thailandia, attraverso collaborazioni avviate con comunità locali e organizzazioni non governative che hanno consentito di rendere efficace un programma finalizzato a una migliore gestione delle risorse idriche. Non solo: in Thailandia è cominciato un ulteriore progetto in partnership con l'Asian Disaster Preparedness Center, il cui scopo è quello di accrescere la resilienza nei confronti dei danni ambientali. Entrando più nel dettaglio, parliamo di un piano di formazione rivolto ai lavoratori del marchio che parte dal presupposto secondo cui la crescita della resilienza ambientale di un'impresa finisce per accrescere anche la resilienza delle comunità che sono legate ad essa. Ecco perché gli addetti hanno preso parte, per esempio, a corsi incentrati sulle modalità di gestione delle emergenze in occasione delle alluvioni, che in Thailandia non sono così rare.
Il ruolo delle nuove tecnologie
Nella manifattura madre di Wattens, nel frattempo, sono state realizzate fornaci nuove che hanno contribuito a migliorare il processo produttivo. Ciò è stato possibile grazie all'adozione di una tecnologia che sfrutta come combustibile l'ossigeno, bruciandole: così le emissioni sono state ridotte, e sono calate anche le polveri di residuo, addirittura fino all'80 per cento. Nello stesso stabilimento produttivo sono stati adottati sistemi innovativi per pulire e asciugare i cristalli, per effetto dei quali il ricorso agli agenti chimici è stato ridotto del 20 per cento, mentre l'energia richiesta per l'asciugatura è diminuita del 30 per cento. Un altro degli ambiti su cui si è intervenuti è quello del processo di pittura, che ha beneficiato di un significativo abbattimento dei composti organici volatili residui; e non è tutto, perché si è riusciti a eliminare anche la necessità di consumare acqua, mentre si è potuto dire addio all'impiego del nocivo cadmio per la produzione di un cristallo di colore scarlatto.
La produzione di cristalli
Sempre rimanendo in tema di produzione di cristalli, in India nella manifattura di Pune è stato introdotto un processo di bruciatura inedito per la realizzazione delle perline di cristallo: in questo modo il materiale di scarto è calato drasticamente, visto che è stato convertito in perline grezze che possono essere riciclate e usate in altro modo. Il prossimo obiettivo del marchio è quello di riuscire a eliminare al 100 per cento gli involucri di plastica laddove sia possibile, ma anche rendere i pacchi più facili da riciclare usando scatole composte da un'unica tipologia di carta.
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Di Thinkdonna
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